il Comitato Ariacheta aderisce alla RETE della RESISTENZA sui CRINALI

venerdì 26 marzo 2010

Convegno interregionale Emilia Romagna-Toscana: “Eolico sì eolico no, eolico ???” Un resoconto

20 marzo - Arriviamo sulle colline sopra Ozzano Emilia, alla Villa Torri di Settefonti, centro visita del Parco Regionale dei Gessi Bolognesi, in leggero anticipo, in tempo per salutare gli amici del Comitato Monte dei Cucchi, e Roberto Tinarelli, promotore della ormai nota Risoluzione degli ornitologi italiani: a causa di impegni inderogabili non può restare, ma trova il modo di diffondere il pieghevole “Uno sterminio nel silenzio” (che tutti possono scaricare dal sito ASOER). C’è anche Paolo Silvestri, di ProNatura Forlì, che ci consegna il numero di “la Calandra” in cui ha parlato diffusamente delle iniziative di Ariacheta. Quando siamo già seduti, una trentina di persone, forse qualcuna di più, arriva il nostro amico Piero Romanelli, agricoltore biologico di Casoni di Romagna, che si è ritrovato le pale a 450 m da casa. Sedendosi dietro di noi ci racconta che è stato a fare un esame sulla frequenza cardiaca, l’holter, perché ha continue irregolarità di battito e vuole andare a fondo – ci spiega come sta, e con sconforto dobbiamo dirgli che riconosciamo uno dopo l’altro i sintomi della sindrome da pala eolica studiata da Nina Pierpont.

Il prof. Corbetta, presidente del Convegno, apre auspicando che gli ambientalisti più accreditati, anche e soprattutto dal punto di vista scientifico, inizino a interessarsi di come gli impianti eolici stiano modificando, e con quali vantaggi e conseguenze, il paesaggio e l’ambiente.

Cede quasi subito la parola all’architetto Garzillo, che con grande rigore e neutralità introduce il tema che è assai complesso. Particolarmente interessanti alcune affermazioni: 1) Il consenso della popolazione sta crollando, 2) i comuni rifiutano sempre di più l'installazione di centrali eoliche, nonostante le royalties a loro destinate, certo non trascurabili, soprattutto per i magri bilanci dei piccoli comuni di montagna. 3) i contributi regionali ed europei vanno ai costruttori, e non alla popolazione 4) appare opportuna una moratoria per avere tempo di valutare appieno vantaggi e svantaggi di questa proliferazione di centrali, ed evitare passi falsi spesso irrimediabili 5) le società costruttrici si rivelano in genere poco capaci nella parte progettuale – presentano cioè progetti mediocri - mentre sono grintosissime per quanto riguarda la parte legale: appare logico chiedersi il motivo dell'affidamento di queste iniziative più ad avvocati che a tecnici.
In tutti i casi si tratta di angolature che aprono scorci significativi, utili strumenti di riflessione.

Interviene poi l’architetto Cervi, che incentra il suo intervento sulla necessità di un piano unico nazionale: manca ancora, infatti, la necessaria formulazione, a livello statale e non regionale, delle Linee Guida per la collocazione degli impianti eolici industriali nel contesto paesaggistico. Sottolinea la necessità di ridurre gli incentivi del decreto Bersani, che fanno sì che si costruiscano, anche contro l’evidenza dell’inefficienza, impianti che restano fermi. Sottolinea l’incertezza della continuità e della durata della resa energetica di queste installazioni: in breve le torri potranno rivelarsi inutili rottami, il che è un ulteriore fattore di preoccupazione. Sottolinea poi che dove il paesaggio è più devastato la società è più in crisi (vengono in mente le periferie industriali di cui è pieno il mondo) e indica nei crinali quella che chiama, con bella scelta, “zona di compensazione psicologica”: ovvero rivendica per l’uomo il bisogno di realtà compensative alla vita che viene costretto a vivere nella quotidianità inquinata o stressante, ovvero quei posti dove si va a fare yoga, dice, a recuperare il contatto con se stessi e il cosmo (se un kosmos ancora esiste), e rivendica il diritto di presentare questa esigenza alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, anche se appaiono poche le speranze di ottenere ascolto.

Tocca quindi al prof. Vai, geologo, che apre con un simpatico siparietto sulla propria famiglia, raccontando come suo figlio sia stato uno dei primi ingegneri a lavorare nel settore, come il settore sia stato smantellato quando era forse il momento di finanziarlo, e come oggi l’intera industria di produzione degli impianti eolici sia esclusivamente all’estero. La costruzione di impianti appare superassistita soltanto nel suo aspetto realizzativo e speculativo, non in quello produttivo, non esistendo in pratica alcuna industria dell’eolico in Italia. Sulla convenienza complessiva degli impianti eolici, e sul loro contributo al fabbisogno energetico nazionale, Vai è quasi brutale: nulla resta, nulla serve, nulla vale. Mostrando poi tavole e fotografie sottolinea come sovente nelle Valutazioni di Impatto Ambientale siano sottovalutati i riflessi delle installazioni sotto il profilo geologico: in proposito predice breve durata – un paio di decenni al massimo – all’impianto di Casoni di Romagna, costruito e inaugurato, nel 2009, sulla formazione geologica delle cosiddette “argille scagliose”, esempio classico di substrato instabile e quindi assolutamente inadatto.

La parola passa al prof. Santolini, che parla dell’alterazione dell’habitat faunistico, e fa una proposta che ci appare estremamente interessante: “quantificare il capitale naturale”. Ovvero, calcolare il valore complessivo del territorio su cui si vuole installare gli impianti, e calcolare il danno che verrà apportato a quel territorio, in termini di perdita di biodiversità e di funzione di riserva di risorse naturali in genere (acqua, foreste e quant’altro), quantificando valori sulla cui base stabilire bilanci funzionali: perché il capitale c’è, semplicemente non ne siamo (o non vogliamo esserne) consci. Sotto questo profilo si potrebbe verificare in modo più obbiettivo la reale “pubblica utilità”, in una rigorosa ottica di ecologia del paesaggio. Non a caso, viene ora da aggiungere, per ogni impianto si parla di opere di ripristino – ammettendo implicitamente la concretezza di un danno ai valori del territorio. Ci si può anche richiamare, in quest’ottica, alle ingenti risorse investite, in più sedi, per la salvaguardia della natura, come nel caso dei progetti finanziati, proprio per l’Appennino, in ambito “APE” (Appennino Parco d'Europa), o alla complessa articolazione della rete Natura 2000. Così, con una mano si vuole proteggere, con l’altra si distrugge, comportamento a dir poco schizofrenico.

Prende infine la parola l’avv. Corbetta, che evidenzia la contraddittorietà della normativa e della giurisprudenza in materia (ricollegandosi, indirettamente, alla cospicua presenza di legali negli organici delle aziende costruttrici di impianti, già evidenziata). Se da un lato appare insidiosa la normativa europea (per altro elaborata per un contesto che appare, nel complesso, mediamente più ventoso di quanto non sia la nostra penisola), altrettanto insidioso appare l'articolo 12 del D. Lgs. 387/, che attribuendo alle centrali eoliche il requisito dell'”indifferibilità e urgenza”, travolge poi ogni ostacolo all'iter di realizzazione successivo alla Valutazione d'Impatto Ambientale. Appare così spesso disatteso il rango costituzionale (art. 9 della Costituzione) attribuito al valore del paesaggio. Appare anche piuttosto incerta la possibilità che il nostro Paese riesca, nella scadenza fissata per il 30 giugno 2010, a presentare all'Unione Europea la bozza di Piano Energetico. Noi qui possiamo commentare che il quadro non depone a favore di un atteggiamento di grande lungimiranza, o di capacità di programmazione, da parte dei nostri governanti.

Le relazioni sono terminate: qualche minuto per le domande del pubblico: Alberto Cuppini (del Comitato Monte dei Cucchi) interviene per lanciare un grido d’allarme sulla quantità di impianti che sono in via di approvazione sulll’Appennino Tosco-Emiliano, fino a Parma: non si riesce a quantificarne il numero, sebbene appaia la necessità di un censimento che dia un quadro complessivo dello scempio che potrebbe incombere sulle nostre montagne, e richiede l’aiuto di tutti. Interviene anche Ugo Mazza, con l'intento di dare una sintesi della propria esperienza di consigliere regionale dell’Emilia Romagna, uscente “per scelta”: come ha ribadito in più sedi, ritiene infatti sensato il limite dei due mandati consecutivi per un incarico politico; è stato tra i pochissimi a cercare di arginare il dilagare incontrollato delle centrali eoliche. Da ultimo, fa un brevissimo intervento anche Ariacheta: se la situazione è sconfortante, si manifestano vive ed attive numerose associazioni, come ProNatura, che ha indetto questo convegno, e ci sono i comitati e i cittadini. Bisogna “fare rete” e far circolare l'informazione indipendente, fare breccia in quella dipendente, attivarsi anche individualmente ma in una prospettiva di interazione, partecipazione e collaborazione, necessaria per arginare la devastazione del patrimonio storico, culturale, naturale e identitario del nostro paesaggio.

Nel complesso il convegno ci è apparso sobrio ma ricco di contenuti, serio e dai toni misurati. Attendiamo gli atti, cui sarebbe bene riuscire a dare una larghissima diffusione. Uno dei problemi più grossi che ci troviamo ad affrontare rimane quello della disinformazione, o almeno della superficialità dell'informazione, spesso monopolizzata da media asserviti agli interessi delle grandi imprese e da associazioni pseudoambientaliste (che palesano risorse ahinoi di enigmatica provenienza, comunque difficilmente riconducibili al semplice volontariato). Ma non era questa la sede per affrontare simili argomenti.
Un sentito grazie agli organizzatori, ai relatori, ai partecipanti e a tutti coloro che ogni giorno si impegnano per fare valere le ragioni del no a inutili, dispendiose e devastanti centrali eoliche industriali.
Comitato Ariacheta