il Comitato Ariacheta aderisce alla RETE della RESISTENZA sui CRINALI

venerdì 12 giugno 2009

Tardivo resoconto della magnifica passeggiata dell'Ariacheta, 2 giugno

(Speravo lo facesse qualcun altro, magari uno dei partecipanti venuti da fuori. E invece silenzio, così alla fine gli amici dell’Ariacheta mi han detto che raccontare tocca ancora a me - pigliatevela con loro) l.v.

Ci siamo trovati all’eremo il giorno prima, da Paolo ed Elisa, per dare un’occhiata ai cartelloni e suddividerci le ultime cose da fare. Anche se pioveva a dirotto una squadra di uomini è andata a preparare il sentiero, a sfalciare con la fienaria, per evitare che i camminatori al mattino si infradiciassero già dai primi passi. Sono usciti sotto l’acqua, col cielo basso. Noialtri abbiamo guardato un’ultima volta le previsioni e messo sul blog un annuncio “previsioni buone, noi ci saremo”, quindi tutti a casa, a chiedersi: sarebbe venuto qualcuno? Con quel tempo da fine del mondo non ci si aspettava niente, restava il nostro impegno di esserci. Appuntamento alla partenza, alla Colla della Maestà, quota 1009, alle 8.30.
Salendo passo dal Cavallino: Marco e Paola, dietro il bancone del bar, hanno già indosso le magliette. Loro resteranno qui, devono servire, noi un caffè e via. Cielo coperto e aria fredda ma secca. Non ha piovuto tutta notte, e il risultato è che il terreno non è fradicio, anche se non è nemmeno asciutto. Sullo sterrato vedo i cartelli segnaletici che ha messo Gabriela, bel lavoro.
Alla partenza c’è già un drappello, stanno montando lo striscione del WWF, spiegando le bandiere di Mountain Wilderness. L’altro Marco, che non può ancora camminare con agio, attrezza un banchino con le magliette, gli adesivi, gli opuscoli informativi. Resterà tutto il giorno a ricevere i ritardatari. Alla spicciolata, ma arriva sempre più gente, ormai è fatta. Fa freddo, siamo attorno ai dieci gradi, quasi tutti hanno scarponi, maglione e giacca a vento. È montagna! Ma si capisce che il tempo regge e va a migliorare. Faccio le prime riprese, arrivano le associazioni, gli amici, alcuni sono noti, altri si presentano, altri ancora resteranno nomi sconosciuti per tutta la passeggiata. Tanto si vede, siamo tutti qui per protestare contro le pale, anche le famigliole coi bimbi.
Dal sentiero, suonando, arriva un gruppo di musicisti, sono della valle ma ci sono anche dei piemontesi – con la valle hanno un forte legame, fatto di residenza, di scambi musicali, gruppi di acquisto, appoggio alla val di Susa contro la TAV. Riconosco anche molti amici dell’Ariacheta presenti alle precedenti riunioni del comitato. Noi organizzatori andiamo un po’ in affanno: abbiamo deciso tutto, ma non ci siamo dati dei ruoli, ce ne accorgiamo ora. Per fortuna l’atmosfera è carica di positività, di voglia di esserci, quindi poiché manca la coordinazione ci si butta sull’improvvisazione.

Finalmente si parte, a suon di musica, Daniele si mette alla testa dei musicisti, seguono i camminatori. La prima pausa si fa in un punto dove sorgerà una pala, Maurizio e Paolo piantano un paletto con un cartello che illustra alcuni dettagli – sono più di dieci, ognuno su un aspetto specifico: finalmente le nostre informazioni, e non quelle dei costruttori - si dà inizio ai discorsi. Ora, l’ordine degli interventi sarebbe duro da ricostruire… vado a spanne, e diversi non li ho nemmeno sentiti. Paolo ringrazia tutti i presenti a nome del comitato, poi Antonella Marchini, del comitato Monte dei Cucchi porta il saluto di Oreste Rutigliano, di Ripa di Meana e del vertice del Comitato Nazionale per il Paesaggio. Parla quindi Mariarita Signorini, consigliera del CNP e di Italia Nostra, che ci ha dato un grande sostegno, e che porta il saluto di Valdo Spini.
Mentre riprendo in video guardo i volti della gente, cerco di capire chi sono, cosa li ha spinti qui. Siamo circa duecento. Gente che la natura la ama davvero, penso, che la frequenta anche con le nuvole nere: gli indecisi, quelli che con la natura hanno meno confidenza, sono rimasti a casa, spaventati dalla possibilità di una camminata sotto l’acqua. Mi stupisco di vedere un consistente numero di persone anziane, ma perché poi? E mi dice bene, è un segno di continuità, penso. Più avanti, nel bosco, prende la parola Nevio Agostini, funzionario responsabile dei servizi della conservazione naturale dell’adiacente (1 km) Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, denuncia i danni che l’impianto creerebbe al Parco e ai suoi abitanti. Dopo di lui parla Fausto Pardolesi; consigliere del Parco, è stato uno dei primissimi ad alzare la voce all’interno del Consiglio dell’ente, e ora indossa la nostra maglietta arancione, con il logo dell’ariacheta “eolico industriale? No grazie! Ariacheta!” e parla deciso, senza mezzi termini. Arriviamo alla spianata delle felci, intervengono anche Ivano Togni, e Guido Crudele anche loro consiglieri del Parco, il secondo è un illustre naturalista, mi sussurra un amico vicino, tra coloro che più si sono battuti per far nascere il Parco. Sono a pochi passi da lui e quando inizia a parlare lo vedo teso, spaesato. “Due volte Crudele mi sento oggi…” inizia, e nelle sue parole ascoltiamo tutto il dolore che prova. Ha uno sguardo incredulo e quasi sperduto, parla a frasi brevi e staccate, quasi non sa che dire. Si ferma, riparte: “Porca puttana!” dice, e si capisce che per lui non è un’esclamazione abituale, la ripete, vibrante, contro l’ottusità di chi approvando questo progetto vanifica il lavoro di trent’anni di conservazione naturale, di ricostituzione di biotipi. Dopo di lui parla Filippo, un amico esperto di boschi, e poi ancora (li dico tutti qua anche se continuiamo a camminare e muoverci) parlano Valentini, di Mountain Wilderness, Marco Paci, presidente del WWF per Forlì e Cesena, Paolo Silvestri, presidente di Pro Natura Forlì, parla Mariella Gavanini, rappresentante del WWF Toscana; ci sono anche Marina, del coordinamento noTav del Mugello, i rappresentanti e consiglieri del CAI di Forlì e Ravenna. Sicuramente avrò dimenticato qualcuno, e non me ne voglia… ma anche qualcuno che si aspettava è mancato, certo. Almeno il sindaco si è scusato, si è dato assente per precedenti impegni…

Parlando di assenze e presenze, un capitolo a parte meriterebbe l’incontro con gli elfi. Non li abbiamo chiamati: loro, molto shakespearianamente, erano già lì, ospiti alla Greta di Gimmi e Simona, per il CIR, il convegno periodico della loro rete di comunità. Li abbiamo incontrati a metà percorso, ci hanno accompagnati nel bosco, e hanno fatto in mezzo a noi uno dei loro “cerchi” cantando. Vestiti in maniera eccentrica, aghindatisi per noi con fiori nei capelli, simili a certe maschere dei nostri carnevali di un tempo, erano almeno una trentina. Per chi non ne avesse mai sentito parlare dirò due parole su di loro e sulla comunità di Gran Burrone, una comunità autogestita unica in Italia con molti legami e contatti anche internazionali. Ci sono da più di trent’anni, ignorati dal mondo “civile”. Anch’io so molto poco, che si tratta di uomini e donne che hanno occupato e riabitato una valle abbandonata dell’Appennino pistoiese, ora sono circa 200 persone, c’è chi va e chi viene, chi è rimasto fin dall’inizio. Insieme a comunità simili sparse in tutta Italia danno vita alla Rete italiana villaggi ecologici (RIVE), vivono cercando l’autosussistenza, la realizzazione spirituale, rifiutando senza compromessi la società del consumo. Si chiamano il popolo degli elfi, sorridono, alcuni di loro camminano scalzi…

Nel frattempo siamo arrivati alla faggeta sotto la vetta del Peschiena, un pianoro bellissimo ricoperto di faggi ormai adulti di 60 anni (si fa in fretta a dirlo: la guerra qui aveva bruciato quasi tutto, più grandi ne sono rimasti solo due o tre per ettaro). Qui ci si ferma e si comincia a ballare, si mangia, si ascoltano le parole dei tanti amici che ancora sono iscritti a parlare. È uscito un bel sole caldo, ma nel bosco continua a fare freddo, i raggi penetrano come lame di luce; i maglioni ce li toglieremo soltanto sulla via del ritorno. A un certo punto arriva anche Piero Romanelli, che ci racconta la sua terribile esperienza, il disagio concreto e devastante di avere giorno e notte il fragore di una pala a 450 m dietro le spalle. C’è anche Fabio Tinelli, fin dall’inizio, che scopro giovanissimo e sorridente, strattonato da due cani al guinzaglio, vorrei che parlasse anche lui, che raccontasse la sua esperienza di coordinatore del sito viadalvento, della difficoltà di organizzare e comunicare la protesta contro l’eolico industriale, malamente ignorata o avversata da tutti tutti tutti. Non ricordo come, perdo il filo…
Chi vuole raggiunge la cima del Peschiena, ancora una quindicina di minuti di salita, dove c’è l’anemometro di 50 metri, e da dove il panorama spazia lungo la dorsale fino al giogo di Villore, dove già c’è un altro anemometro che segnala il progetto del prossimo impianto e poi oltre, altre pale previste in sequenza, fino al Cimone.
Nel bosco non è mancato il brivido: a un certo punto mi dicono hanno trovato una bomba! Un ragazzino, giocando, in effetti, ha trovato una granata da mortaio, inesplosa. Già, la guerra - qui si è combattuto come forsennati, era pieno di partigiani e nazifascisti, proprio di qui passava la linea gotica.

Tra quelli che non sono venuti alcuni hanno detto, per scusarsi: già li conosciamo i boschi del crinale – non ho avuto la prontezza di dirgli ecco, allora vieni a salutarli, perché non li vedrai più, col tuo disiniteresse li mandi a morte. Perché in questa loro frase “già li conosco” riconosco il distacco e l’incapacità di essere mentalmente presenti. Vorrei dire loro che è lo stesso meccanismo di rimozione che alla morte dei genitori spinge molti figli a disinteressarsi della casa dei padri: per non guardare in faccia il dolore, per non affrontarlo la svendono, o la lasciano andare in malora, senza più nemmeno passarci, perché non saprebbero confrontarsi con la perdita di un bene tanto prezioso – né vogliono ammetterlo, e cercano invece rifugio in oggetti di consenso e consumo, la preziosità la cercano seguendo i consigli d’acquisto (un tempo si chiamavano persuasori occulti), in auto luccicanti o vestiti alla moda. Credono così di togliere di mezzo lo scomodo rapporto con la propria origine, senza voler vedere che è anche la propria sostanza - corrono a cercarne una nuova e illusoria in oggetti inutili e inefficaci come certi costosissimi orologi dai nomi complicati, quando invece, se volessero solo guardare le proprie mani, riuscirebbero a immaginare i propri avi intenti alla manutenzione del bosco, durata secoli e millenni, generazione dopo generazione, la sentirebbero impressa nella propria fisionomia, nel proprio gesto, nella parola e nel pensiero...
Altri amici più consapevoli, che non si sono fidati del tempo e non sono venuti, telefonano ed esprimono il loro rammarico. Promettiamo che la festa si rifarà, in estate – forse si rimarrà fino a sera, con le torce?

Per concludere: sicuramente noi organizzatori abbiamo fatto qualche errore, e ci scusiamo se qualcuno ha subito disagi – ma ad essere sinceri non ci è arrivata una singola lagnanza. Al momento di venire via dalla faggeta ormai deserta, Andrea con un ultimo sguardo ha abbracciato il bosco tutt’attorno, vuoto e tagliato dai raggi obliqui del sole, e con orgoglio ha detto: sfido chiunque a indovinare che qui hanno fatto festa duecento persone. Ci siamo guardati in giro per bene: non un mozzicone, non un pezzetto di plastica - solo il nastro bianco e rosso che indicava il punto dove la bomba dorme sdraiata.

Permettete ancora una considerazione personale. Tutti, mi sembra di aver capito, dobbiamo darci e dare un’altra e ancora un’altra occasione per camminare, sostare e riflettere. In gruppo ma anche e forse meglio da soli, sentirci in cammino, intenti a percorrere una silenziosa passeggiata nel bosco - sulla collina, lungo la costa - ciascuno dove costruiranno a lui le “sue” pale, e riflettere su distruzione e conservazione, sul proprio paesaggio interiore. Alzare gli occhi alla volta del bosco, come ha fatto Dimitris nell’ultima foto della sua galleria (www.acquacheta.org/ariacheta), per cercare di capire chi siamo, dove andiamo e come vogliamo farlo.